16 marzo 2008

ANNIVERSARIO DI VIA FANI


Nell'anniversario del rapimento di Aldo Moro e dell'uccisione degli uomini della sua scorta tante parole si sono dette e tante si sono sprecate. Ovvimente nessuno ha provato a fare chiarezza su uno dei tanti misteri italiani.
Propongo per uscire dalle commemorazioni tradizionali di cambiare punto di vista e riporto un passo del libro di Anna Laura Braghetti e Paola Tavella: "Il prigioniero."
"Mario entrò da Moro e gli disse che ogni speranza era perduta. Lui scrisse a sua moglie un’ultima, atroce lettera, che io ho letto solo dieci anni dopo. Fu recapitata immediatamente. Il giorno dopo era domenica. Come sempre, gli registrammo la messa.
Da giorni non dormivo più e mi sentivo incapace di fare qualunque cosa, anche i gesti più semplici. Aspettai di trovarmi sola con Mario. Eravamo in salotto, in piedi, lui trafficava con un filo del giradischi senza combinare niente. Gli dissi: “Mario, non possiamo aspettare ancora un po’?”. Lui non si voltò. Lentamente, con pazienza, prese a espormi le ragioni per cui uccidere il prigioniero era diventato inevitabile. Doveva aver ripetuto quel discorso molte volte in quei giorni. L’esecutivo aveva preso la sua decisione, mi disse, tutta l’organizzazione era compatta. Se non avessimo ucciso l’ostaggio avremmo ammesso che lo Stato era invincibile, la lotta armata inutile o impossibile. Non parlò a lungo, ma abbastanza perché capissi che non c’era niente da fare. Nonostante questo, riprovai. Dissi che la detenzione di Moro era stata lunga e crudele, anche per le modalità del sequestro. Che il carcere subito dall’ostaggio era- di per sé una condanna dura, una condanna sufficiente. Aggiunsi che secondo me, se lo avessimo lasciato andare, Moro non sarebbe tornato a mai più quello di prima, sarebbe stato anzi il vero nemico della Dc. Mario rispose solo: “No”.
Per Moretti quella fu una decisione difficile proprio sul piano personale.
Parlai anche con Prospero. Lui fu tenero con me, ma altrettanto irremovibi1e Ancora non avevo idea, mi consolò, di quanto potessero essere alti i prezzi per chi faceva la nostra scelta. I sentimenti umani, come la compassione, talvolta erano uno di quei prezzi, che andava pagato. Era la mia prima volta, tutto qui. Per questo soffrivo. Compresi che le mie argomentazioni non avevano nessun peso, non contavano niente di fronte alla logica delle Br. Non ero in grado, allora, di sostenere politicamente la mia Posizione. Di mostrare quanto fossero speculari, simili in modo perfino impressionante, la rigidità dello Stato e la nostra. Noi avremmo voluto fare uno scarto, metterci in un’altra posizione, essere un’alternativa nei fatti, fin da subito, alla scelta del Palazzo. Dovevamo essere un’altra Politica, se volevamo un’altra società. Potevamo metterci su un altro piano, dimostrare che eravamo migliori e non imitare l’incapacità di recedere della Dc, del Pci e del governo. I rivoluzionari avrei dovuto dire, hanno i compito di essere più lungimiranti. Ma non avevo esperienza sufficiente né, del resto, non ho mai avuto un gran talento politico, nonostante per l’ideologia abbia sprecato la mia vita e quella di altri."

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