25 febbraio 2009

Non ci sono martiri, né eroi...


Non ci sono martiri, né eroi in questa storia.
E non c’è nemmeno un Humphrey Bogart che dica: “E’ la stampa, bellezza”. Ci sono soltanto giornali e giornalisti. Fatti della vita, che spesso sono fatti scandalosi, e modi diversi di raccontarli. Poteri forti e uomini deboli.
Come forse qualcuno già sa, per il mio giornale, il Corriere della Sera, mi sono occupato per quasi due anni delle inchieste Poseidone, Why Not e Toghe Lucane dell’ex pm di Catanzaro, Luigi de Magistris, e delle disavventure, chiamiamole così, di Clementina Forleo, da quando l’ex gip di Milano ha cominciato a occuparsi delle scalate bancarie illegali Unipol-Bnl-Antoveneta-Rcs.
Su queste cose, e su altre molto simili, ho scritto anche un libro, “Roba Nostra” (il Saggiatore), in cui si narra di una Nuova Tangentopoli italiana: il primo punto fermo sul quale si basa questa riflessione.
Molti, a destra e a sinistra, naturalmente interessati a smontare sia il contenuto di queste inchieste, senza conoscerle né discuterle, sia l’idea stessa che possa esserci una Nuova Tangentopoli hanno di volta in volta cercato di liquidare le une e l’altra. Come un rigurgito di giustizialismo, come l’irresistibile mania di protagonismo dei soliti magistrati in cerca di autore, o come l’insopprimibile desiderio di riattivare quel circolo (definito sarcasticamente anche circo) mediatico-giudiziario che porta certe notizie fin sui giornali (ma guarda un po’). Insomma, tutto l’armamentario propagandistico che di fronte a un problema serio sposta sempre il problema un po’ più in là per parlar d’altro e rovesciare le parti. Così il problema, il “caso”, per tornare a noi, sono diventati de Magistris e Forleo.
Sapete tutti com’è andata a finire. Forleo e de Magistris trasferiti con motivazioni risibili, pretestuose, addirittura inesistenti e le loro inchieste fatte a pezzi. Anche se alcuni mesi dopo la loro defenestrazione e l’uscita di “Roba Nostra” sono stati in molti, a destra e a sinistra, a riconoscere come stanno realmente le cose. Due persone, in modo particolare. L’ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, e Primo Greganti, sì, proprio l’uomo del “conto Gabbietta” e delle tangenti rosse. Entrambi, Ciampi e Greganti, hanno detto la stessa cosa: oggi non è “come”, ma è “peggio” di Tangentopoli ’92.
Se la nuova Tangentopoli è più grave della vecchia, allora si capisce meglio perché scriverne e parlarne in tv e sui giornali è cosa molto, molto più difficile di quanto non lo fosse nel ’92. E non solo perché è cambiata l’aria, o perché ci sono dentro tutti (anche allora c’erano dentro tutti, ma alcuni hanno pagato e altri no), quanto perché questa Tangentopoli è davvero “nuova”: innanzi tutto è, al tempo stesso, più semplice e più raffinata nei meccanismi; poi, è più remunerativa e più nascosta; infine è di una trasversalità perfetta, in alcuni casi sembra studiata a tavolino affinché i suoi protagonisti “simul stabunt, simul cadent”.
Per questa ragione, nessuno di noi (pochi) giornalisti che avevamo deciso di scrivere ciò che sapevamo si è mai illuso che il giorno dopo avrebbe continuato a scrivere sull’argomento. In questi ultimi due anni però, bene o male, ci siamo riusciti. Con prezzi alti, in termini di costi umani e professionali, ma ci siamo riusciti.
Abbiamo scritto di questa Nuova Tangentopoli nonostante non operassimo in “pool”, come facevano i cronisti ai tempi di Mani Pulite, ma fossimo altrettanti cercatori di notizie “maledetti e solitari”. E nonostante tutti quei “colleghi” che, pur avendo le nostre stesse notizie, sceglievano di non pubblicarle, di non battersi all’interno dei rispettivi giornali per pubblicarle, o addirittura facessero a gara per “smentire” quelle notizie prima ancora di venirne a conoscenza e di verificarle.
Per questa “presenza” del Corriere della Sera sulle inchieste più delicate del Paese, nell’estate del 2007, i magistrati di Matera indagati in Toghe Lucane mi hanno accusato (assieme ad altri quattro giornalisti e a un capitano dei carabinieri) di “associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa”, un reato inedito e delirante, per il quale sono ancora indagato.
Le indagini a nostro carico sono state prorogate quattro volte. Ma per questa vicenda nessuna presa di posizione “garantista” da parte dei commentatori un tanto al chilo della “libera stampa”. Per questa vergogna, nemmeno un decimo dell’attenzione riservata da stampa e tv per le proroghe d’indagine, naturalmente subito condannate, decise nelle vicende abruzzesi, campane, toscane, in cui sono indagati politici e imprenditori, cioè i principali protagonisti di ogni tangentopoli che si rispetti.
Con l’imputazione di “associazione a delinquere eccetera”, i magistrati di Matera mi hanno intercettato e hanno ascoltato tutto ciò che dicevo con i miei colleghi e con il mio direttore, e hanno intercettato - meglio sarebbe dire: spiato -, anche l’ufficiale dei carabinieri e il pm de Magistris che parlavano delle indagini su quei magistrati indagati. I quali si sono trasformati d’autorità in indagatori dei loro indagatori (una vera e propria anticipazione, quasi un esperimento, di quanto avverrà a dicembre 2008, nella cosiddetta “guerra” tra le procure di Salerno e Catanzaro).
Quando accadde tutto questo, che se non è un vero e proprio golpe giudiziario molto vi somiglia, tra i pochi a capire cosa stesse succedendo e cosa ci stessero combinando - come giornale e come informazione libera, intendo -, fu proprio Paolo Mieli. L’ho scritto anche in “Roba Nostra”, in un momento non sospetto. Quindi il valore di questa testimonianza è doppio.
Mi disse Mieli: “La cosa più grave, più terribile che possano fare a uno di noi, a un giornalista, è questa. Intercettarlo e metterlo sotto controllo in questo modo. Dopo di che, possono solo sparargli”.
Io lamentai il silenzio degli altri giornalisti. Ma capii che anche il direttore del mio giornale era sotto tiro e sotto pressione come me, a causa di quelle inchieste raccontate dal Corriere, e uscii dalla sua stanza forte di una convinzione: che “l’intesa” con un direttore che rischiava di suo facendomi scrivere certe cose valesse molto di più di scontate dichiarazioni di solidarietà dei “colleghi” e della “categoria” (che in ogni caso non ci sono state). Insomma, la migliore dimostrazione che non fossi solo e che non rischiassi l’isolamento era nel fatto che i miei articoli su quelle vicende, che ormai erano diventate il più grave scandalo giudiziario dal dopoguerra, potessero continuare a essere pubblicati.
Invece, il 3 dicembre scorso, dopo un mio articolo ricco di nomi eccellenti sulle perquisizioni e sui sequestri ordinati dai magistrati di Salerno nei confronti dei magistrati di Catanzaro, sono stato improvvisamente “rimosso” da quel servizio. Stop. Basta. Senz’alcuna motivazione. E da quel momento non posso più scrivere di Salerno, Catanzaro, Poseidone, Why Not, Toghe Lucane.
Ma come, lo stesso Mieli che fino a quel momento si era fatto “garante” della mia libertà e quindi della mia incolumità, proprio lui dice basta? Articoli fatti male? Tutt’altro. Qualche grave “scivolone” su un fatto, su una circostanza di rilievo, su un dettaglio? Nemmeno.
Dopo, molti giorni dopo, nel mio giornale circolerà voce che ero stato rimosso perché ero “indagato”. Un tentativo debole di dare una motivazione alla mia rimozione. Ma anche un tentativo maldestro, perché non specificava che ero, e sono, indagato per quella acrobazia giuridica definita “associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa”, elaborata strumentalmente dalla procura di Matera. Avrebbe dovuto scattare come un sol uomo, la “categoria”, di fronte a un fatto così grave e così palesemente fuori dalle regole del diritto. Per difendere me, ma soprattutto per difendere il principio di libertà e indipendenza dell’informazione. E invece eccola pronta a farne un motivo di autogiustificazione della propria condotta.
Ma poi, cosa c’entra Matera con la cosiddetta “guerra” tra le procure di Salerno e Catanzaro, che stavo seguendo?
E in ogni caso, cosa c’entra accampare questa motivazione balorda basata su una figura di reato balorda, a sua volta basata sull’assenza di qualsivoglia processo o sentenza che abbia definito diffamatori i miei articoli? Articoli che, al contrario, in questi due anni hanno trovato via via conferma negli sviluppi delle indagini. Articoli che in diversi casi sono stati inchieste giornalistiche dalle quali – dopo – sono scaturite inchieste giudiziarie.
Ancora. Si può davvero credere che siccome un giornalista viene querelato da un cittadino, o peggio da un indagato, debba per ciò stesso smettere di occuparsi dei fatti che coinvolgono quel cittadino o quell’indagato?
Se siamo a questo punto, allora chiunque (ma già siamo su questa strada) userebbe la querela (e ormai anche la citazione al risarcimento danni) proprio per centrare l’obiettivo di togliersi (o far togliere) dai piedi il giornalista “indesiderato”. Come del resto è stato fatto per il pm Luigi de Magistris, quando ha iscritto tra gli indagati Clemente Mastella. Qual è stata l’abnormità logica, prima che giuridica, concepita in quel caso per trasferire de Magistris? Si è detto: un pm che indaghi sul ministro si mette in una posizione di conflitto di interessi con il ministro indagato… Ne consegue, quindi, che non si può indagare un ministro (nemmeno quando quel ministro, come nel caso di Mastella, era indagato per fatti risalenti al periodo in cui era senatore). Ma per favore!
La verità è che io dovevo smettere di occuparmi di ciò che avevo seguito per due anni per una ragione molto semplice. Una ragione che trascende i direttori di testata. In Italia, poi, li sopravanza di parecchie lunghezze, non c’è gara. Ed è la ragione della forza.
La forza dei poteri forti, che si sono sentiti in pericolo per le inchieste di magistrati che svolgevano il proprio compito di servitori dello Stato senza accucciarsi sotto l’ala protettiva dei politici e dei magistrati come loro. Ma, al contrario, hanno messo sotto accusa proprio i magistrati, come mai era stato fatto prima, facendo emergere un dato sconvolgente, che nessun procedimento disciplinare e nessun trasferimento potranno mai fiaccare.

18 febbraio 2009

MILLS CONDANNATO, BERLUSCONI SALVATO!!


(articolo tratto da l'Unità del 17 febbraio 2009)

C’è un modo molto semplice per verificare lo stato dell’informazione, e dunque della democrazia, nel nostro paese: ascoltare con attenzione i telegiornali e leggere i giornali di oggi e di domani. Vedere quanto tempo e quanto spazio viene dato alla sentenza del processo Mills. E anche «come» la notizie viene riferita.

Si scoprirà che nei telegiornali – sia pubblici, sia privati – verrà presentata non come un «fatto» ma come un’«opinione». L’opinione di un collegio giudicante. E che la sommaria descrizione del merito della vicenda sarà seguita dai commenti politici. L’ultimo dei quali – a chiusura di questo giro di opinioni attorno all’opinione-sentenza – sarà affidato a un esponente del Pdl o a uno degli avvocati di Berlusconi (ma spesso le due qualità sono riassunte in un singolo soggetto).

L’intervistato non entrerà nel merito del caso giudiziario ma dirà che si è trattato di «giustizia a orologeria». Il concetto sarà ripetuto in modo martellante dai telegiornali e, con un po’ di fortuna, sarà possibile – in una conversazione al bar, su un autobus – sentire qualcuno che, senza sapere nulla della vicenda, lo ripeterà in modo testuale: «Giustizia a orologeria».

Più complesso il discorso sui quotidiani. Parliamo, naturalmente, dei normali quotidiani di informazione e non di quelli che, per vie politiche o familiari, sono direttamente controllati dal premier. Là si potrà leggere una sintesi abbastanza completa del fatto che, in qualche raro caso, sarà anche accompagnata da un commento. Non di più e, difficilmente, per più di un numero.

E se qualcuno – su un giornale non allineato come per esempio l’Unità – oserà insistere sul tema, sarà liquidato come «giustizialista». Nel caso in cui l’inopportuna insistenza fosse espressa in una trasmissione televisiva, saranno inquadrati gli ospiti politicamente vicini al premier che, in quello stesso istante, cominceranno a sorridere con gli occhi rivolti verso l’alto e a scuotere la testa.

E’ possibile fare la verifica sullo stato dell’informazione del paese anche seguendo un’altra via. E cioè osservando con attenzione in che modo televisioni e giornali danno la notizia di altre sentenze. Sarà facile scoprire che un imputato per omicidio condannato in primo grado (e dunque ancora presunto innocente) sarà indicato come l’«assassino». E che un extracomunitario, subito dopo l’arresto e dunque in assenza non solo di processo ma anche di rinvio a giudizio, sarà qualificato «stupratore». Nel caso in cui facciate notare l’incongruenza in uno studio televisivo, vi osserveranno con aria perplessa, cominceranno a scuotere la testa, e qualcuno ci definirà «buonista». Non avrete il tempo di dire: «Ma non ero giustizialista?». Si spegnerà la luce.

Ora, per chiarire il precedente articolo, proponiamo alcuni esempi di questa disinformatio pubblicati da Il Giornale (di Berlusconi)
"La sentenza che condanna il legale inglese era annunciata". Lo ha detto il deputato del Pdl Gaetano Pecorella, che è anche avvocato ed è stato legale del presidente del Consiglio. "Si tratta di un tribunale il cui presidente è politicamente orientato in modo molto chiaro contro la figura di Berlusconi. C’è un margine di forte sospetto che nasce da questa posizione politica - ha aggiunto Pecorella - io prescindo dal lodo Alfano che sarà la Corte Costituzionale a valutare. Dico solo che con due posizioni tra loro così legate, emettere una sentenza con uno dei due imputati assente, forse era un modo per condannare Berlusconi moralmente non potendolo fare fisicamente".
Cicchitto: "Uso politico della giustizia" "Continua l’uso politico della giustizia". Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, commenta così la sentenza. "Certamente, come ha rilevato la difesa - aggiunge l’esponente del Pdl - Mills ha pagato a duro prezzo di essere stato associato a suo tempo nel processo con Berlusconi. C’era una prova dell’inesistenza del reato di corruzione che è stata del tutto ignorata. Non è da oggi che abbiamo rilevato l’esistenza di una gravissima anomalia che ha la massima concentrazione a Milano - conclude Cicchitto -. Per parte nostra continueremo nella battaglia politica garantista".

La verità che non viene raccontata da tg e giornali, e che solo Antonio Di Pietro ha avuto il coraggio di dire, è che se da questo processo è emerso un corrotto (Mills) ciò vuol dire che dev'esserci anche un corruttore (Berlusconi) che in questo momento sta tranquillo grazie al suo Lodo Alfano.
Non ci resta che dire: CHE SCHIFO!!

13 febbraio 2009

Qui si calpesta la memoria storica!


Non si vuole entrare nel merito dei fatti accaduti nei giorni scorsi nel centro di Padova , quando al presidio indetto da militanti di Forza Nuova, formazione neo-fascista guidata dal controverso Roberto Fiore ( per lui un curriculum non indifferente che comprende un passato da militante in Terza Posizione, una condanna per banda armata, una lunga latitanza e una simpatia mai nascosta per il fascismo) hanno risposto gli studenti, o presunti tali, dell' "onda padovana" con un'azione più o meno lecita.
Si vuole e si pretende però focalizzare l'attenzione su di un altro elemento che i giornali locali e nazionali ci hanno fatto perdere di vista.
In questi giorni non si è fatto altro che parlare di "città in ostaggio dei no-global", "comune ed università sotto ricatto del c.s.o. Pedro", tralasciando però di approfondire un altro elemento, molto più inquietante e pericoloso.

La critica che va mossa agli "studenti" di Padova è quella di voler cercare sempre lo scontro con istituzioni, partiti e forze di polizia.
Se al posto di un gruppetto di 30 persone si coinvolgevano associazioni partigiane e partiti politici antifascisti si sarebbe avuto un effetto ben diverso.

Allo stesso tempo, agli stessi studenti di Padova va riconosciuto però il merito di essersi fatti carico di un patrimonio valoriale che dovrebbe essere di tutti gli italiani, e che invece sembra esser perduto, l' antifascismo.

Chiudo per non tornare più sull'argomento perchè il discorso è un altro.

Concedere il permesso di depositare una corona di fiori dentro l'università di Padova, cosa che peraltro può essere impedita esclusivamente dalla questura o dal prefetto, non equivale a dare agibilità politica o meno ad una formazione neo fascista.
L'agibilità politica la ottieni dal momento in cui fondi un partito.
Il fatto equivale invece a qualcosa di ben più grave che ha a che fare con la memoria storica, su cui si fondano determinati valori e comportamenti.

L'esser insigniti della Medaglia d'oro al valore militare per l'aiuto dato alla Resistenza ha un certo carico simbolico oltre ad esser un vanto per una città.
Sfilare per le strade di Padova cantando "boia chi molla è l'urlo di battaglia" per entrare poi nel cortile del Bo, calpesta una precisa memoria storica e tutto il carico di somboli e di valori che le appartiene.

Questo gruppuscolo di 20-30 neofascisti non è pericoloso in sè, non farà certo proselitismo con queste iniziative.
E' pericolosa invece l'aria che si respira, nessuno si ricorda più cos'è stato il fascismo, come pure la resistenza partigiana e la riconquistata libertà dopo anni di regime.
E' per questo che in anni di pesante revisionismo storico collocare una iniziativa come quella organizzata da Forza Nuova diventa pericoloso.

09 febbraio 2009

LA FINE DELLA DEMOCRAZIA


Ricevo e pubblico una mail inoltratami dai Giovani Democratici di Padova riguardo all'ultimissimo scontro tra il presidente del consiglio Silvio Berlusconi e il più alto garante della costituzione Repubblicana, il Presidente Napolitano.

Non conosco chi materialmente ha redatto il testo della mail ma voglio ringraziarlo ugualmente per aver saputo raccontare in maniera equilibrata e limpida l'attuale situazione politica italiana.




"E' con grande tristezza e con profondo turbamento che assistiamo quasi increduli a quello che oseremmo definire uno dei momenti più difficili della nostra Repubblica. Eppure è proprio grazie a questa Repubblica, alle sue origini e soprattutto alla sua Costituzione se oggi resiste ancora la Democrazia in questo Paese. Il populismo oggi al governo (perché non si può parlare di vera destra né di veri conservatori o liberali) e soprattutto il Presidente del Consiglio Berlusconi confondono Democrazia con dittatura della maggioranza. La maggioranza ha il diritto (nonché il dovere) di esprimere ed attuare un programma politico. Ma c'è un limite, normalissimo per alcuni e per tutte le Democrazie avanzate dell'Occidente, odioso e inutile per altri…: la Costituzione e il conseguente rispetto dei massimi valori democratici e repubblicani. La maggioranza non può fare tutto quello che vuole! Tuttavia il delitto più grave di cui si potrebbe macchiare la maggioranza e soprattutto coloro che la rappresentano sarebbe quello di asservirsi alla volontà di una sola persona… l'Europa e la nostra Italia ne hanno già avuto abbastanza. La Costituzione è nata proprio come risposta alla morte della Democrazia, come soffio vitale per una nuova società, la nostra società, la nostra Repubblica.

Altro che riforma della Costituzione, come vorrebbe il presuntuoso governo al potere. Ammesso e non concesso che la nostra Legge Fondamentale risenta per certi aspetti dei suoi sessant'anni, non è certo da questo governo che vogliamo che venga modificata, non ci fidiamo minimamente. Già infinite volte ha dimostrato il suo modo di agire: strumentale ad interessi personali o, a farla grande, di ristrette categorie. Se ci fossero però dei dubbi su quello che l'Onorevole Presidente Silvio Berlusconi pensa davvero della Costituzione, è lui stesso a fugarceli: "la Carta è una legge fatta molti anni fa sotto l'influenza della fine di una dittatura e con la presenza al tavolo di forze ideologizzate che hanno guardato alla Costituzione russa come a un modello da cui prendere molte indicazioni".

Persino in questioni delicatissime e molto sentite dalla Nazione, come la triste vicenda di Eluana Englaro, in cui ci si dovrebbe muovere con estrema discrezione e rispetto per trovare un ampio consenso e soluzioni condivise, il premier è riuscito a fare quello che sa fare meglio: dividere il Paese. Dicendo di rappresentare il partito della vita contro il partito della morte ha offeso almeno la metà dei cittadini, e l'altra metà dovrebbe comunque sentirsi quantomeno imbarazzata.

Proprio a causa di questa vicenda si è consumata la vergognosa contrapposizione istituzionale: il governo, con la solita superficialità, il solito opportunismo elettorale e propagandistico e l'ennesima caduta di stile, ha preteso di intervenire con un decreto legge ad hoc, ricevendo però il legittimo e sacrosanto stop dal Capo dello Stato. Invece di riflettere sul valore politico dell'autorevole rifiuto e sulla delicatezza della situazione, Berlusconi e il suo governo ne hanno approfittato per radicalizzare lo scontro e per giustificare il loro piano di mettere le mani sulla Costituzione."

02 febbraio 2009

Soffia un vento nuovo sul paese!!


Da una "tavola rotonda" tra Andrea camilleri, Paolo Flores D'arcais e Antonio Di Pietro è emersa la necessità di dare un partito ai "senza partito".
Quella parte del mondo intellettuale, definita da qualcuno come promotrice dell'antipolitica, si raccoglie attorno al leader dell'Idv per stringere un "alleanza" alla vigilia delle elezioni europee.

Dopo la fuoriuscita di Nichi Vendola da Rifondazione Comunista e l'imminente fondazione del movimento (e mi preme sottolineare movimento, non partito ) di rifondazione per la sinistra, sembra ci sia finalmente un aria nuova nel paese.
Si respira aria di rinnovamento. Questo bipolarismo stanco e spento ha generato una nuova partecipazione civile che in molti si auguravano e che , almeno ad osservare questi ultimi movimenti, sembra finalmente pronta per un cambiamento dello scenario politico italiano.

VIDEO della tavola rotonda tra Camilleri, Di Pietro, Flores d'Arcais